Testo estratto da:
Rodolfo Lanciani, "L'epoca d'oro del Rinascimento a Roma", Newton Compton editori, Roma 2006.
"VI. Raffaello", pp. 178 - 208.
Propongo ora di far visitare al lettore la casa abitata da Raffaello nell'ultimo periodo della sua vita, che, mi duole dirlo, non è sta ancora trasformata in un tempio
consacrato alla sua memoria.
Papa Alessandro VI, volendo garantire al Vaticano un accesso dal Ponte Sant'Angelo migliore di quello consentito dalla stretta e tortuosa Carriera Sancta
(l'attuale Borgo Vecchio), nel 1499 aprì una nuova strada tra gli orti e i giardini che chiamò "Alessandrina", un nome sostituito da quello attuale di Borgo Nuovo (27).
Ai proprietari dei beni immobili su entrambi i lati della strada furono concessi privilegi, a condizione che avessero costruito case entro un certo lasso di tempo,
con prospetti alti almeno 13 metri. Orbene, accadde che i fiduciari dell'ospedale di Santo Spirito, la cui proprietà, chiamata il "Palazzo della Stufa", era stata attraversata
dalla nuova strada, non riuscirono a sostenere la spesa della sua ricostruzione e, il 5 giugno del 1500, lo vendettero ad Adriano Caprini da Viterbo, protonotaro
apostolico e segretario del cardinale di Capua, a condizione che questi facesse all'ospedale una donazione annuale di 24 ducati e completasse l'edifìcio entro la data
sancita nell'editto papale. Adriano Caprini, che durante la sua ultima permanenza a Viterbo per la ricostruzione del santuario della Madonna della Quercia aveva incontrato il Bramante, affidò a quest'uItimo l'incarico di arprogettare la nuova casa; in questo compito Bramante fu probabilmente assistito da Raffaello, che all'epoca
impiegava il suo tempo libero nellostudio dell'architettura.
II 7 ottobre del 1517, i fratelli Caprini vendettero la residenza a Raffaello al prezzo di 3600 ducati. Vasari, con la sua abituale superficialità, parla due volte di questa
transazione, dando a intendere al lettore che era stato lo stesso Raffaello a commissionare al Bramante il progetto della nuova facciata ("per lasciare memoria di sé fece
murare un palazzo a Roma in Borgo Nuovo, il quale Bramante [...]"). La scoperta dell'atto di proprietà (28) dirime ogni controversia sull'argomento perché, nell'ottobre
del 1517, l'anziano architetto era già morto da tre anni. Il passaggio di Vasari deve quindi essere interpretalo nel senso "che nel 1517 Raffaello divenne proprietario
di un palazzo residenziale, che era statoprogettato per il venditore dal Bramante.
E' forse possibiÌe, dopo quattro seooli identificare il suo sito e magari trovare le tracce dello studio dove il divino artista dipinse le sue ultime tele e la stanza dove
diede l'addio alla Fomarina? Per rispondere in maniera soddisfacente a queste due domande dobbiamo seguire ogni singolo passaggio di proprietà fino ai nostri giorni (29).
Innanzitutto, non è vero che la proprietà sia stata lasciata in punto di morte dall'artista al cardinal Bibbiena, quasi a voler espiare il suo comportamento verso la nipote
di quest'ultimo, Maria; al contrario, gli esecutori testamentari, sollecitati dai creditori guidati dal duca di Ferrara (30), la vendettero nell'ottobre del 1520 al cardinale Pietro
Accolti, il vicino più prossimo, con l'approvazione di Leone X. La proprietà non avrebbe potuto cadere in mani migliori, perché la casata, la cultura, i titoli e la sensibilità
artistica del compratore lo rendevano l'inquilino più adatto per gli appartamenti del defunto maestro. La ragione di acquisto deve essere trovata nel fatto che i due palazzi,
quello di Raffaello e quello del cardinale, sorgevano talmente vicini l'uno all'altro che c'erano state delle controversie tra i proprietari per il fumo di un camino, che impediva
all'artista di lavorare nel suo studio quando il vento soffiava da occidente. Infatti, le due proprietà erano separate solo dall'umile abitazione di un veneziano di nome Bartolomeo Zon (31). L'edifìcio era stato ereditato nel 1532 dal nipote dell'Accolti, Benedetto, anch'egli cardinale e arcivescovo di Ravenna, che fu imprigionato nel Castel Sant'Angelo
per ordine di Paolo III e liberato nel 1535 dietro il pagamento di una cauzione di 60.000 scudi.
Il cardinale Benedetto vendette la proprietà nel 1540, per la cifra insignificante di 6000 scudi, a Benvenuto Olivieri, un banchiere fìorentino, e nell'atto l'ubicazione e i confini dell'abitazione di Raffaello vengono specificati in maniera estremamente chiara.
"La proprietà", vi si legge, "è delimitata dalla via Alessandrina [Borgo Nuovo] a nord; dalla piazza del cardinal Salviati [Scossacavalli] a est; dalla Correria Sancta [Borgo Vecchio] a sud e dalle case del vescovo di Ancona a ovest". Sappiamo dunque che la casa di Raffaello deve trovarsi all'intemo dell'area dell'attuale Ospizio dei Convertendi,
istituzione alla quale l'edifìcio fu devoluto nel 1685 dal cardinal Castaldi, l'ultimo proprietario privato (32). L'identificazione è resa più facile dai molti disegni di artisti del XVI
secolo nei quali l'edifìcio è rappresentato nelle sue forme originarie. Quella che ho scelto per la mia illustrazione a p.203 è un'incisione pubblicata dal Lafreri nel 1549,
con il titolo Raph[aelis] urbinat[is palatium] ex lapide coctili Romae exstructum, che deve essere interpretato nel senso che Bramante aveva utilizzato nella costruzione
un nuovo tipo di muratura, chiamata da Lafreri "lapis coctilis", e da Vasari "fabbrica di getto".
Sono coerenti con questa stampa il disegno di Palladio, pubblicato da Geymuller nel suo Raffaele studiato come architetto, e un altro di Domenico Alfani (nella biblioteca comunale di Perugia) che durante la sua visita a Roma nel 1581, fece un pellegrinaggio alla casa e alla tomba di Raffaello, e prese degli appunti di entrambe nel suo album di disegni. La rappresentazione della casa è interessante perché mostra il piano terra già modificato dal cardinal Comendone nel suo stato attuale.
Sono stato costretto a scendere in questi dettagli per convincere il lettore che quanto sto per affermare sullo studio e sulla camera da letto di Raffaello non è frutto di supposizioni,
ma la pura e semplice verità.
Dell'edifìcio originale è rimasto indubbiamente molto poco a causa dellincrcdibile negligenza del Bramante che sarà pur stato un artista geniale, ma
che di certo fu un oostruttore sciagurato. Le fondazioniono state consolidate, puntellate o ricostruite ex novo non meno di cinque volte,la prima da
Cernendone nel 1582, la seconda da Gastaldi nel 1685, la terza dopo l'inondazione del 1805, ancora da Boldrini nel 1848 e da Martinucci nel 1870.
Ciononostante, la parte principale della casa - lo studio del divino artista - è sfuggita alla distruzione.
L'ambiente occupa l'angolo tra la piazza di Scossacavalli e Borgo, con due finestre che affacciano sulla piazza, ed è notevole sia per le dimensioni che
per l'altezza e anche per il meraviglioso soffitto, che una commissione di esperti, nominata dal comune nel 1889, dichiarò essere "corretta grandiosa
[....] opera del Bramante". L'avidità dei moderni proprietari ha rovinato l'effetto artistico dell'ambiente, dividendolo in due appartamenti per
mezzo di un muro di partizione, un ostacolo che speriamo di veder presto rimosso. Devo qui rimandare i miei lettori al mio amico Domenico Gnoli,
l'illestre poeta e storico, che nel 1866 entrò in questa casa per la prima volta. "M'accompagnava nelle mie ricerche", afferma,
un giovine architetto che onora l'arte italiana, l'autore del monumento nazionale a Vittorio Emanuele [il conte Giuseppe Sacconi],
e nel metter piede nella sala e nel!'alzar gli occhi, ci corse alla mente la stessa idea. Misurando coll'occhio sulla parete il
gran quadro della Trasfigurazione, è impossibile non sentirsi andare un brivido per le ossa e piegare le ginocchia in atto di
reverenza, non vedere il giovine glorioso, la più schietta, la più elegante, la più splendida incarnazione del genio italiano,
disteso a piedi della sua ultima opera, fra gli scolari, fra gli amici che piangono. La povera Margherita è trascinata via dalla
casa del suo pittore, artisti, prelati, cardinali entrano, escono collo sgomento sul volto, il papa manda ogni istante a prender
notizia. È la notte del venerdì santo. All'improvviso, nelle loggie del Vaticano dipinte dal gran pittore si aprono delle crepacce,
pare che il palazzo minacci rovina: "lapides scissi sunt". Leone x fugge nelle stanze del cardinal Cibo a castel Sant'Angelo: per
la città, nella Corte si spande la trista novella, gli ambasciatori SI affrettano di comunicarla alle loro corti: Raffaello è
morto! Il giovine rè dell'arte non è più. Ma quando muoiono i rè, la corona passa su d'un'altra fronte: e ora, dove trovare una
fronte su cui posare la corona di Raffaello? (33).
Una porta che si apriva sul muro a sud dello studio immetteva in una loggia che si estendeva fino all'angolo col Borgo Vecchio. La loggia
aveva sei archi sostenuti da pilastri di pietra, che ricordavano nel progetto e nella forma quelli del Palazzo Vaticano, ed era stata dedicata
proprio a Raffaello. Qui, al fresco della sera, egli deve essersi spesso trovato attorniato dalla sua Scuola d'Atene, a conversare con Bembo
e Castiglione, mentre il suo anziano e austero ospite, Fabio Calvo, si dava a spiegare i canoni di Vitruvio a Giulio e Lorenzetto. Dobbiamo
completare il quadro con Giovanni da Udine, il Fattore e Marcantonio Raimondi che discutono sul tracciamento di una linea o sul valore
di un tono di colore, o mentre ridono col Bibbiena e messer Branconi dall'Aquila, il famoso custode dell'elefante donato a Leone x dal rè
del Portogallo, un bestione che ebbe l'onore di essere ritratto da Raffaello e di dare il proprio nome a una strada.
Che meravigliosa vista dovevano godere dalla loggia! Sulla destra si ergeva il Palazzo dei Penitenzieri, costruito dal cardinale Domenico
della Rovere e decorato dal Pinturicchio, di fronte a quello progettato da Bramante per il ricco cardinale Adriano Castellesi da Corneto.
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La casa di Raffaello a Borgo, da un'incisione di A. Lafredi.

La casa di Raffaello (linee tratteggiate) trasformata nel suo presente stato dal cardinal Comendone nel 1582 (Cfr. nota n. 29)
Quante storie di crimini, quanti episodi di violenza e quante memorie di splendore e nefandezza si potrebbero menzionare in relazione ad
entrambi i luoghi. Non molto tempo prima, dal portone del primo era uscito il buon cardinal Alidosi, per finire assassinato per mano di
Francesco Maria della Rovere nelle strade di Ravenna; nel giardino del secondo, inoltre, si era svolta una tragica cena che era costata la
vita ad Alessandro VI e un'atroce malattia a suo figlio Cesare Borgia.
Lo sfondo era costituito da Castel Sant'Angelo, dove Leone x, mentre esaminava con l'aiuto di occhiali le scene dipinte da Raffaello per la
rappresentazione dei Suppositi di Ariosto, aveva appena fatto condannare a morte per strangolamento il cardinale Petrucci.
Nella storia della penisola non è possibile trovare un dramma che possa reggere il confronto - in merito agli episodi di nefandezza e
grandiosità, di civiltà e barbarie - con quello messo in scena a Roma dal pontificato dei Borgia al sacco del 1527. Sotto Leone X, nessuna
eco di guerra, congiura, episodio politico o controversia religiosa potè sbarrare il passo allo spirito gioioso, spontaneo e spensierato che
prevaleva nei circoli di corte, in particolar modo tra i Fiorentini da cui il papa era circondato. Una battuta di caccia nei boschi
della Magliana, una nuova commedia del Bibbiena, una fresca battuta di fra Mariano, il completamento di un nuovo capolavoro di
Bramante, Raffaello o Marcantonio, una corrida o un torneo combattuto a morte e altri simili spettacoli dell'epoca suscitavano
l'interesse della società più degli echi di guerra o di un minacciato scisma religioso. In mezzo alla folla delle maschere che festeggiavano il carnevale, dei cortei
ufficiali a cavallo dove ogni principe cavalcava alla testa di un numeroso seguito di cortigiani, guardie del corpo e sostenitori,
nella generale spensieratezza del momento, un attento osservatore avrebbe potuto notare che uno sconosciuto frate tedesco, in
cammino dal convento agostiniano di Santa Maria del Popolo verso la tomba di san Pietro, guardava inorridito queste scene di
depravazione morale che avvenivano nei dintorni. Il sacco del 1527 fu il risultato delle impressioni che lo sconosciuto frate
tedesco riportò indietro da Roma tornando verso la propria terra natìa.
L'arte, all'oscuro in ugual modo delle crudeltà dei Borgia, delle ambizioni guerresche dei della Rovere e delle gaiezze dei Medici,
era comunque ascesa, pura, nobile e grande, a vette mai raggiunte prima; la casa di Raffaello era diventata il suo tempio. Roma
non conosceva che un artista e riteneva che gli altri pittóri, architetti e scultori eseguissero semplicemente i suoi progetti.
Mentre dirigeva di persona la ricostruzione di San Pietro e dipingeva il "San Michele" e la "Perla" (34) per il rè di Francia e la
"Trasfigurazione" per il cardinale de' Medici, principi, banchieri, aristocratici e prelati gli sollecitavano altri lavori di suo
pugno. A non minor sforzo erano sottoposte le energie dei suoi allievi, che erano intenti a ricoprire le pareti delle "Stanze" e i
soffitti delle "Logge" con dipinti immortali, a costruire palazzi e ville, a progettare giardini, decorare facciate e logge con
rilievi di stucco dorato, a scavare antiche rovine e a percorrere in lungo e in largo il Lazio, la Campania e la Grecia in cerca
di motivi architettonici classici. Nella storia dell'arte non si è mai saputo ne mai si saprà di un laboratorio così attivo.
NOTE
26 _ Cfr. Claude Phillips, "A Bronze Relief in thè Wallace Collection", nel "Burlington Magazine" del febbraio 1904, pp. 111-124;
Thode, ibi, marzo 1904, p. 215; Etienne Michon, Un Bas-relief de bronze du musée du Louvre, Parigi, 1905.
27 _ Le vie di Borgo Nuovo e Borgo Vecchio, che delimitavano la cosiddetta Spina di Borgo, sono state obliterate dagli sventramenti operati
per il tracciamento di via della Conciliazione (n.d.t.).
28 _ Effettuata da Adamo Bossi nel 1844 nell'Archivio Urbano di Roma, Diversorum, vol. XXX.
29 _ La piazza Scossacavalli e tutti gli edifìci della Spina di Borgo nominati nei paragrafi successivi, compresa la casa di Raffaello,
sono scomparsi in occasione dell'apertura di via della Conciliazione. In particolare il Palazzo dei Convertendi, che ospitava la casa di Raffaello,
è stato demolito e ricostruito con il prospetto sulla medesima via (n.d.t.).
30 _ Sembra ben poco credibile che il nobile e ricco duca sia stato così ansioso di recuperare l'esigua somma di 40 ducati prestati al defunto
artista per un quadro da lui lasciato incompiuto. Ancor più strano mi risulta il comportamento degli esecutori testamentari di liberarsi così in
in fretta di una proprietà di valore per pagare debiti così insignificanti, quando è un fatto accertato; che Raffaello era morto discretamente
ricco. Dal primo aprile del 1514, aveva percepito un salario di 300 ducati all'anno per la sovrintendenza della Fabbrica, che depositava presso
il banchiere di corte, Simone Ricasoli; aveva poi ricevuto un compenso di 1200 scudi per ognuno degli affreschi delle Stanze. In un dispaccio
dell'ambasciatore di Ferrara, scritto il giorno dopo la morte di Raffaello, l'ammontare delle fortune che questi lasciò viene valutato pari
a 16.000 ducati, di cui 6000 consistenti in case e proprietà terriere. È quindi priva di fondamento la storia del Vasari del cardinalato offerto
come compensazione per gli ingenti arretrati dovutigli dalla Camera.
31 _ Nel Breve di Leone x che sancisce l'acquisizione dell'immobile da parte di Pietro Accolti - pubblicato da Gaetano Milanesi nel 1860 in
"Giornale storico degli archivi toscani" - viene riportato il cognome Son. Milanesi crede debba essere interpretato come Assonica o Sonica,
vescovo di Capodistria. Tuttavia, i documenti esistenti nell'archivio di Santo Spirito riferiscono il cognome alla famiglia di origine veneta
Zon o Zono (n.d.t.).
32 _ La proprietà era passata da Benvenuto Olivieri a un altro banchiere fiorentino, Strozzi, e successivamente ai cardinali Comendone, Spinola
e Gastaldi.
33 _ Domenico Gnoli, La casa di Raffaello, in "Nuova Antologia", 1887, fasc. 11 (n.d.t.).
Per dati e considerazioni si rimanda al testo citato
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