ARCHITETTURA E PSICHE _ Introspezione sulle immagini permanenti e sui caratteri fondamentali del progetto
_ Edizioni Kappa, Roma 2008 _
Prefazione ed indici
Origini della forma
_ Contenuti simbolici dell'architettura
C’è nell'architettura, oltre quella visibile, una immagine nascosta; una aedes comune alle costruzioni remote e perenni, il cui richiamo non ha spiegazioni immediate, e che da sempre ed ovunque, con un messaggio velato su qualcosa di già vissuto e saputo, agisce su tutti. E’ a questo contenuto non contingente e pressoché ignorato dell'architettura – che discende da un fuoco da custodire, fino ad una consapevole caduta degli dei - la cui natura è per alcuni immanente, per altri inconscia, per i più irrazionale e sfuggevole, che mi propongo di avvicinare; come ad un invito che avverto debba riguardare il senso stesso di un dato universale anche inquietante, ma comune ed essenziale.
Da dove, poi, per l'architettura e l'arte del costruire, l'origine di tanta bellezza e di tali manifestazioni di equilibrio o di compensazione tra i caratteri fondamentali della coscienza: tra le sfide del pensiero ai rigori e linearità della ragione, e l'intensità dei sentimenti oltre i loro già retti giudizi di valore; tra gli scherni guizzanti dell'intuizione ai primati dell'immaginazione, e l'acuta partecipazione delle sensazioni alle proprietà espressive della materia.
L'avvio a queste note prende dunque origine da una convinzione lontana, mai compresa abbastanza; quasi una sollecitazione vissuta con fiducia, che con gli anni ha finito per riflettersi in una risposta semplice: comporre e progettare i problemi della vita nella concezione dello spazio, al cui fare da sempre riconosco una connaturata proprietà di realizzazione oltremodo appagante, sono manifestazioni tanto permanenti e creative da conferire, unite nella stessa persona, la dignità e le prerogative di chi cerca di sapere di sé per esprimere, se dovuto, i valori, le speranze e l'attesa di senso e di felicità vissute con gli altri.
Di formazione e mentalità laica, cosciente della comune aspirazione psicologica a varcare i limiti dell'umana condizione esistenziale, proprio perché animato da queste convinzioni e da questi desideri mi preme osservare che il progetto di architettura non si esaurisce nella sintesi tra le motivazioni della storia, le sollecitazioni critiche della cultura e le razionalità delle metodiche adottate. Esso presuppone infatti la più estesa e complessa partecipazione attiva della psiche , dalla quale il progetto prende origine e forma; e questo vuol dire che il progetto ha sì in sé un senso mediato criticamente attraverso la conoscenza della storia e i dati desunti dal contesto che pone il problema; ma che tale senso non appaga quello più profondo con il quale i sentimenti, le emozioni e le istanze latenti nella psiche partecipano di sé le attività e le attese della coscienza, e quindi il progetto e lo spazio di vita.
Nei processi della psiche, il progetto è vissuto e posseduto dalla complessità della struttura che lo genera e lo elabora; la stessa protagonista che, per bisogno o suo malgrado, non può esimersi dall'esprimere nel progetto la natura e il senso stesso del suo modo di essere, non sempre tutto cosciente, non sempre tutto spiegato, e tuttavia a suo modo sempre presente e partecipe di sé. C’è quindi un senso del progetto che, prima d’esprimere contenuti storici e culturali del contesto, o insieme a quelli, esprime istanze endogene della psiche, della quale quei contenuti si fanno anche pretesto e portatori.
Questo senso è tanto costante nell'architettura, quanto più chiaramente è riflesso da condizioni esistenziali partecipate con sufficiente autonomia da situazioni storiche e culturali specifiche. Non a caso appare più evidente negli spazi comunitari delegati ad esprimere con l'organizzazione dei valori essenziali di ciascuna società, aspetti basilari della condizione umana, caratterizzati dalla permanente ricorrenza di eventi e bisogni comuni.
E’ noto che le soglie più raziocinanti e quotidianamente sollecitate dell'intelletto scostano in modo sempre meno avvertibile istanze, giudizi di valore, emozioni e costrizioni non risolvibili nella coscienza o nel mondo esterno, allontanandole via via e relegandole per gradi in ambiti della psiche poco attivi e sempre meno presenti alla memoria; e che così facendo abbiano avvitato un processo esogeno di rimozione individuale e collettiva, con il conseguente accumulo di un patrimonio sempre più profondo e incombente di bisogni psicologici inappagati.
Meno descrivibili, e tuttavia avvertibili e percepibili quali attività permanenti dell'inconscio, sono invece i modi e i segni con i quali attività primordiali, istinti e forme originarie e arcaiche della conoscenza collettiva, gli archetipi, partecipano della vita della psiche.
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Il senso di questo insieme di contenuti endogeni ed esogeni, custodito oltre le soglie remote e ombreggiate della coscienza, nel versante oscuro, labirintico e tuttavia vitale della psiche, sfugge a tentativi diretti di spiegazione; ma è anche tale da fare mostra di sé, quale realtà pulsante che vale in quanto è avvertita, indipendentemente dall'essere più o meno intesa, o dal poterlo essere davvero e pienamente.
Nella sua immanenza non regolabile ma sempre incombente sulla coscienza e sulle sue scelte, la presenza di questi contenuti dà inoltre una rappresentazione della complessità strutturale della psiche, sia quale protagonista della progettazione, sia del valore mediato della sua attività quando questa si realizza, anche se inconsapevolmente, attraverso il progetto.
Si può constatare come l'insieme delle istanze presenti nelle aree remote della coscienza, ed oltre, prema per essere vissuto e partecipato, con senso proprio, anche nelle occasioni meno prevedibili ed opportune; ed è noto come ciò avvenga sottraendo attenzioni ad una normale conduzione logica delle attività quotidiane, fino a generare irrequietezze e turbamenti improvvisi, irragionevoli, a volte angoscianti.
Allo stesso modo, è esperienza di chi osservi il progetto nel suo processo di formazione, e non solo nel suo superficiale aspetto risolvente, sapere che nessun metodo progettuale puntualmente determinato risulta poi davvero applicato in modo compiutamente rigoroso; tanto da non inciampare in perplessità, dubbi, dimenticanze strane, e in quelle irragionevoli e improvvise cadute di interesse e di fiducia per la cosa che si sta facendo, la cui origine e intempestività hanno così poco a che fare con la volontà, la metodologia e il rigore scientifico.
La presenza nella psiche di un tale insieme non definibile di istanze, pulsioni, istinti, sollecitazioni, pressioni, moti e spinte emotive dà luogo ad una realtà il cui senso è comune a tutto ciò cui aspiriamo – risolvere, identificarci, appagarci – e che resta vera anche quando non se ne ha consapevolezza, o ragione apparente per averla.
Questa realtà, complessa e attiva, è posseduta e vissuta dalla psiche nel rapporto più connaturato e profondo che è dato sentire. Con impulsi e stimoli diversi, essa interagisce sulla volontà, sulla memoria, sulle attività superiori della psiche, e quindi sulle scelte e sui comportamenti della persona. Con modalità analoghe e con la stessa intensità, è dunque in grado di esprimere nel reale i dati apparentemente più disparati dell'inconscio, attraverso la mediazione delle normali attività individuali o collettive.
Come riprova di ciò, si noti quanto sia fertile l'attività della psiche, anche in direzione dell'inconscio, nello svolgimento di attività quotidiane ripetitive, nel corso delle quali il pensiero si distrae dall'occupazione fondamentale per divagare, apparentemente senza senso, per spazi e figurazioni quasi oniriche, compensative di costrizioni e noie non evitabili; e quanto invece gli stessi spazi e figurazioni risultino impraticabili se investigati a freddo, per determinazione della coscienza .
Conscio e inconscio convivono in un rapporto sia dicotomico che equilibrato. Ciò significa che nella psiche esiste una tendenza o un’attitudine a comporre le realtà e le istanze più antitetiche; tendenza o attitudine che inducono o dispongono a esprimersi in qualche modo, in qualche forma, per qualche fine, con significati non immediati. Ne avvertiamo la presenza quando sensazioni, figure o fantasie anomale e indefinibili, o quando costrizioni, manie o lapsus irragionevoli e ricorrenti ci lasciano intendere che qualcosa in noi sta avvenendo, ma in modo tanto confuso da non capire cosa.
Il luogo di questa continua composizione – con un disporsi al fare anche arrendevole oltre che consapevole, ma non meno creativo del progettare - è la psiche, la cui natura è di intelligere e comprendere (nella accezione più esauriente dei termini); e il cui ruolo è di compensare e comporre gli opposti con ogni combinazione possibile, anche con processi analogici e strutture paradossali, al fine di generare sintesi e simboli in grado di armonizzare e realizzare il proprio modo, non solo cosciente, di essere .
La psiche, dunque, s’identifica con la realtà più profonda e lontana che siamo in grado di riconoscere; pneuma sapiente che ha in se l'archetipo dell'essere, la coscienza di sé e il senso, mai compiuto, mai finito, della vita.
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1946 E DINTORNI, immagini della memoria _ Edizioni Iride, Rubbettino 2006
La guerra era davvero finita
A un anno dalla fine di un conflitto mondiale, dalle sue crudeltà, paure e sofferenze, e dalle speranze e delusioni del dopo, le ferite più profonde erano quelle della pace. Anche per Luca. Lui, a maggio, aveva compiuto quindici anni. Non era più un ragazzo. Dopo i collegi, i traslochi e gli sfollamenti con la madre e il fratello, c’era stata la guerra vissuta da vicino; quella tra gli alleati bloccati nella piana lungo l'Arno e i tedeschi trincerati sulla linea gotica; e l'altra, quella civile, senza un fronte e senza tregua, tra fascisti e antifascisti. Il terrore, la violenza e l'egoismo anche vigliacco del prossimo ne avevano fatto un giovane consapevole; un giovane anche sicuro di sé, che non faceva a meno di sognare. Come tanti della sua età, maneggiava ordigni e residuati abbandonati nei fossi, obici, polvere da sparo e altro. E non aveva difficoltà a interloquire con i grandi; ma parlare con una ragazza lo metteva in soggezione, e un turbinio d’immagini lo confondeva, distraendolo da ciò che faceva o diceva. Vedeva ed era distratto. Pensava e intanto immaginava.
Da qualche tempo, e non solo di giorno, avvertiva turbamenti e scombussolamenti tanto lucidi da esserne cosciente anche nel sonno. Erano il segno che stava crescendo e cambiando, nel fisico e nella mente; e che, come tutto intorno a lui, doveva aspettare.
Sperduto nella folla accalcata di traverso alla lunga piazza del centro, Luca aveva ascoltato Nenni e altri candidati alle elezioni, venuti qua, si diceva, non solo da Pistoia e Firenze, ma anche da Roma. Di quelle cose non capiva più di tanto, ma n’era partecipe, ché bene o male si trattava del suo presente, e ancor più del suo futuro.
C’era, anche in lui, il desiderio di buttarsi alle spalle le paure e i tormenti della guerra, il terrore dei rastrellamenti, l'orrore delle rappresaglie e dei tanti appesi ad un filo di ferro, padri e figli, non era un anno, agli alberi del viale lungo il fiume; e l'incubo dei bombardamenti e delle corse ai rifugi, nelle notti cupe illuminate dai bengala e dai lampi di quel fronte dell'Appennino che sembrava non cedere mai.
(da pp. 9-10)
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Il peggio fu dopo il passaggio del fronte. Da una stanza all'altra di case diverse, con quattro carabattole, un gatto e due quaderni, il ritorno alla vita normale degli altri era un’offesa alla fame e alla mancanza d’ogni cosa. più del digiuno e delle inquietudini dell'età, a urlare la rabbia era lo sgomento della giovinezza sprecata, l'essere fuori dal mondo.
Contarono e ricontarono altre stagioni di stenti e attese. Anche il ricordo della guerra era ormai lontano; ma non i tormenti e gli affanni di Luca e dei suoi; ai quali ormai – esaurita ogni risorsa, nudi e crudi, senza un barlume di prospettiva, o un briciolo di fiducia - non restava altro da fare.
Come molta altra gente da altri paesi, della quale ben poco si sapeva, se non che era ridotta male come loro, nell'autunno del ‘46, quando nella stanchezza di una stagione rugginosa con le speranze di tanti caddero anche le loro - per orgoglio, per povertà - sfollarono a Roma.
Dopo un giorno di viaggio e una notte di sonno e di sogni su una panchina della stazione, Luca si svegliò con gli altri alle prime luci. Un sole pallido, neppure tiepido, si profilava nella prospettiva delle pensiline oltre le nebbie e le sagome ancora buie, qua o là baluginanti, della periferia e dei Castelli.
D’ogni dove giungevano voci e rumori, attutiti, filtrati dal torpore e dal freddo; come l'immagine della stazione, ancora confusa, con la gente a sgranchirsi sui marciapiedi, gli orologi fissi sulla stessa ora e i treni uno appresso all'altro allineati sui terminali, con gli sportelli spalancati, i vagoni semivuoti e le motrici che ronfavano sorde, non si capiva se per partire o riprendere fiato.
Luca si stiracchiava come tutti, infreddolito e indolenzito, e dovette fare uno sforzo per rientrare in sé e rendersi conto del perché diamine stesse lì. La madre e il fratello erano stralunati come lui; ma tutti e tre ci misero poco a capire che la giornata era all'inizio, e che andava fatto tutto quello per cui se n’erano venuti via dalla Toscana.
Non sapevano da dove cominciare, né come. Quella città, alla quale infine si stavano affacciando oltre il portico in ghisa della vecchia stazione, non la conoscevano per nulla. Né per loro, prima d’allora, fuor della politica aveva significato davvero qualcosa. Ma ora, come per quelli che già li precedevano oltre la piazza, o per altri che li avrebbero seguiti, era la loro speranza.
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Vi si avviarono, lungo le Terme di Diocleziano fino all'Esedra, e poi in discesa giù per tutta la via Nazionale fino a piazza Venezia e al Campidoglio, col naso per aria e la valigia di legno col manico di ferro tenuta a turno da due mani, un po’ per volta, ché pesava.
A Roma con la valigia
La capitale era sottosopra. A Luca appariva grande e povera, monumentale e stracciona. Ma c'erano anche piazze ricche di traffico e gente; e strade intere con negozi, magazzini e caffetterie che, specie di sera, sembravano ammiccare da vetrine e insegne come luoghi di benessere, di calore e festa. Luca vedeva ogni cosa come in sogno, tra la sorpresa e la stanchezza, seguendo la madre e il fratello da un luogo a un altro, fino a trascinarsi tutti e tre alla ricerca di un posto sconosciuto e provvisorio ove sostare, specie di notte.
Negli uffici si sentiva la frenesia di fare il possibile e di farlo presto, di rimboccarsi le maniche sul ginepraio di un paese da ricostruire. C’era gente in gamba, o almeno ne incontrarono, e tra tanta miseria, nel coacervo di tensioni, ambizioni e urgenze che si palpavano da vicino, si viveva anche un clima di comprensione e collaborazione.
In Luca i nomi di quegli uomini e donne di un mondo tanto diverso dal suo sono scomparsi dalla memoria; ma nell'animo gli sono restati, ben impressi, la volontà e le speranze che esprimevano. Erano giovani. Alcuni erano stati partigiani, altri erano appena tornati dal fronte o dalla prigionia. Ascoltavano, comprendevano, si davano da fare. Avrebbero voluto risolvere meglio e presto, ma s’erano trovati nell'ingranaggio dei più. I quali, lo si capiva, erano gli stessi di prima, i voltagabbana e gli imboscati di sempre, coinvolti o partecipi a qualsiasi titolo del nuovo clima di ricostruzione.
La professione laica, cattolica o marxista era sottintesa, ed era di conforto incontrare anche persone che nelle loro funzioni mostrassero di rispettare il proprio ruolo istituzionale. nell'insieme, pur in mezzo a tanta confusione e ad altrettanto reale bisogno di solidarietà, sembrava di vivere uno stato di risveglio e responsabilità incoraggiante, meno di parte, o più attivo e fiducioso di quello lasciato nella provincia toscana.
Quelle settimane trascorse sbalestrati da una stanza all'altra di ministeri, sedi sindacali ed enti assistenziali, tra mense e dormitori, di giorno fra tanta gente sofferente e di notte ospitati su panche e seggiole in una stazione dei carabinieri, o nelle camerate dell'universo di coetanei incruditi dalla miseria e dal bisogno, gli sciuscià, quelle settimane gli si rivelarono insomma molto di più di una faticosa e dolorosa esperienza. Per Luca, esse divennero già allora una preziosa e inesauribile ragione di crescita interiore.
I sentimenti e i principii già propri di un carattere introverso e a suo modo risoluto ne uscirono rafforzati, e con quelli l'orgoglio e la volontà di riscatto. Con il senso della solidarietà prese forma il senso dello Stato, e infine il ruolo atteso dalle nuove istituzioni.
Né allora, né poi, Luca si sarebbe tuttavia districato tra il culto della cosa pubblica e l'indole sua, individualistica e dubbiosa. Quello che in fondo avrebbe davvero desiderato, e gli sarebbe bastato, era un consesso umano meno condizionante e dispersivo, che gli consentisse d’avere maggiore cura di sé.
Per questo, e per altro, si rafforzarono allora in lui anche quei risentimenti che, radicandosi nell'animo, ne condizionarono l'esistenza fin nelle scelte e atti più minuti della giornata. Gli stessi che lo avrebbero portato a rifiutare e osteggiare con durezza e intransigenza anche preconcetta, in sé e negli altri, in famiglia nella scuola e ovunque, forme e manifestazioni estranee a una disciplina interiore, o riferibili a mentalità e costumi per Luca sintomatici di quieto vivere, d’ottusità ed egoismo.
Tutte cose che lui, sempre sicuro per gli altri quanto pieno di dubbi per sé, egocentrico e tormentato da un nonnulla, conosceva bene.
(da pp. 97-100)
continua
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PAROLE E IMMAGINI d'ieri ed oggi ricordi, versi e disegni _ Ed. Kappa Roma 2002
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La parola
Voce dell'anima è la parola
che come lama ferisce
illumina nel buio
lo spirito solleva.
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Ave
D'ogni alito di vento
d'ogni goccia che scorre
d'ogni foglia che spunta
d'ogni essere che nasce
sotto il sole che sorge
sopra i sapori della terra
prima d'ogni tempo
è fatto il suono del mondo.
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E vola
Nell'attesa, il silenzio urla
più di una voce rappresa
che al colmo della chiusa
si schiuda a cascata.
più della distanza,
il tempo allontana ogni cosa.
più del tempo,
il silenzio che dura senza fine.
Giovane donna, amica,
abbi cura di te, e vola.
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vedi
Il centro storico di Roma dal Vittoriano, sett.'07
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